Teatro e poesia. Un binomio che Ferdinando Bruni ha già sperimentato con spettacoli rimasti nella memoria di molti spettatori e che torna in questo omaggio dedicato a Edgar Allan Poe, alla sua figura tragica e affascinante che ha ispirato tanta letteratura e tanto cinema.

«Ci sono esistenze che, a un certo punto, si accorgono che una sola vita non basta», spiegano Bruni e Frongia raccontando la genesi di questo spettacolo, debuttato nella primavera del 2017. «Persone che trascendono la propria epoca e contaminano con la loro opera le generazioni successive. Gli scritti di Edgar Allan Poe hanno questa capacità miracolosa: chi li legge entra in un gorgo in cui piano piano tutti i sensi sono chiamati a reagire e ci si trova, quasi senza averlo deciso, a esplorare zone della propria mente dove l’ombra è più fitta, ad aprire porte che non si aveva il coraggio di considerare. Un viaggio oltre uno specchio nero, in un paese delle meraviglie al negativo. Paura, ma anche ironia, disperazione, passione e l’inesausta voglia di raccontare storie».
Insomma un materiale perfetto per questa coppia di artisti che sperimenta e utilizza linguaggi capaci di popolare il palcoscenico di meraviglia e mistero (com’è stato nella Tempesta di Shakespeare e Alice Underground). E un materiale che è divenuto ancora più conturbante grazie all’intervento musicale di Teho Teardo, il cui lavoro, a cavallo fra ‘suono colto e distorsione effettistica’, accompagna la voce di Bruni e le immagini di Frongia in questo viaggio dentro le parole di Poe per farci esplorare i confini, i limiti reali o immaginari delle sue (e delle nostre) ossessioni.
«Una suite teatrale/musicale che usa tutte le possibilità degli strumenti multimediali, ma che al tempo stesso evoca l’atmosfera remota, il sentore di fiori squisiti e putrefatti che emana dall’opera di Poe».

«Darkness, fear, death, grave. Ossessioni incubi, allucinazioni. Edgar Allan Poe muore alcolizzato, in miseria, tra deliri e visioni mostruose. Tutta la sua vita è un tormento continuo: conflitti, incomprensioni, improvvise morti.
Tutto lo sconvolgimento, lo strazio di un’esistenza divorata dall’angoscia affiora nelle parole di Bruni. Magnifica prova. È un attore forse unico nel panorama del nostro teatro: sa essere a volte ironico, leggero, sornione, indolente a volte irruente, passionale, tumultuoso. I suoi monologhi (un esempio per tutti, La tempesta shakespeariana), le sue letture (Dickens, Wilde) sono esempi di rigore, intelligenza e perfetta padronanza. E sorprende tutte le volte. Una lunga storia, la sua, che andrebbe raccontata».
Fausto Malcovati, Hystrio

«Rinchiuso in un velario funebre di teli semitrasparenti che si fanno schermo per paurose proiezioni video in bianco e nero, Ferdinando Bruni appare scalzo e con ali nere che presto si staccheranno per incombere su di lui nel procedere del racconto-confessione. Ali di corvo, quello della celebre poesia che Bruni, in inglese, scompone in farfugli di sofferenza e delirio in una prova d’attore che, amplificata dal microfono, torna alle performance rock maledette (difatti canta anche, le ballate Annabel Lee e Ulalume) in cui lo ricordiamo anni fa, ad esempio nel Berkoff di Alla greca. Percorso da ombre mosse di onde, uccelli e nuvole, o mentre emerge dall’iride di un occhio buhueliano, è un titano pazzo d’infelicità in una fantasmagoria gotica che, pur proiettando lo spettatore negli abissi dell’anima, gli regala anche, nella composizione roboante e nelle citazioni di tanto cinema delle origini, da Murnau a Méliès, un godimento gustoso da film horror».
Simona Spaventa, la Repubblica